IN MEMORIA DI...

PADRE EGIDIO NANI
NEL RICORDO DI PADRE GIOVANNI

Un anno dalla morte di padre Egidio Nani, missionario comboniano, nativo di Lanzada, lo vogliamo ricordare attraverso il ritratto che di lui ha fatto padre Giovanni Giordani in una lettera del dicembre dell’anno scorso.Ricordi di padre EgidioI domenica di ottobre 1918, festa del Rosario: il parroco, don Gervasio, all’altare della Madonna, aveva fatto la vestizione di seminarista a Bep (il futuro apostolo di Patagonia) e al sottoscritto. Lui aveva 13 anni e io 12. Con la nostra fiammante veste si dovette aspettare più di un mese per entrare in seminario, ossia fin dopo l’armistizio. In Sant’Abbondio (seminario minore) c’erano i prigionieri austriaci; entrammo al maggiore. Nel paese facevano un po’ impressione questi due... pretini in veste talare, e qualcuno tra i ragazzi, come per abbassare la nostra superbia, ci gridava: "Cérek, Cérek!" (= chierico). Tra quelli, ricordo proprio l’Egidio, di 9 anni, unito al Luisin de la Maria Beata, che ne aveva 10. Due anni dopo, quei due ragazzi avrebbero preso la stessa via del nostro seminario.Il suo carattere
Vivo, intelligente, tenace e generoso nello stesso tempo. Forse aveva ereditato di più da suo padre Angelino che da sua madre, la buona Ersilia.
Il babbo passava la maggior parte dell’anno nella Svizzera tedesca. Del tedesco, se già ne aveva, aumentò il carattere. La disciplina non ammetteva dover ripetere gli ordini due volte. Per aver trasgredito un comando (sarà stato di non sospendere il gioco o di aver rotto qualcosa), lo legò ad un alberello e lo lasciò lì un bel pezzetto. Questo lo confidava la mamma Ersilia a mia madre.La vita di seminarioIl profitto spirituale e intellettuale era molto evidente. Lo dimostra questo episodio.
Egidio era già in liceo nel 1926. In quell’anno, la Santa Sede volle toccare il poìso dei seminari lombardi e inviò come visitatore l’abate Schuster (il futuro arcivescovo e beato di Milano). Arrivò anche al seminario di Sant’Abbondio di Como. Entrò nell’aula dei liceali. Era l’ora di greco. "Bene, bene! — disse l’Abate con una vo-cina delicata e due occhi che sprizzavano intelligenza — sentiamo un p.’...". E, rivolgendosi al prof. Baini: "Faccia lei, professore E lui invitò Egidio a continuare la lettura del testo greco e a farne la traduzione. "Perfetto!". Ne rimase ammirato l’Abate, soddisfatto il professore e naturalmente il seminarista per le parole di congratulazione ricevute.Le vacanzeErano tre mesi di rifornimento di energia. E non soffriva lo spirito, perché si era fedeli alle pratiche spirituali. Dopo la S. Messa: meditazione, letta e assistita dal parroco don Gervasio. E non mancava l’occhio vigile del vicerettore, che era il nostro don Pio. Non mancavano le occasioni per un necessario e sano sfogo delle ricuperate e aumentate energie giovanili con le impareggiabili gite sulle nostre Alpi.Frattanto il numero due di noi primi seminaristi andava di anno in anno crescendo fino ad arrivare al numero nove.
La casa del Teresin era il luogo quasi quotidiano del ritrovo. Lì a volte succedevano sani scherzi...
Un episodio che poteva finire in tragedia: l’ascensione al nostro campanile, alto 44 metri, se non di più. Egidio arrivò fino in cima sedendosi a cavalcioni sul globo dove è innestata la croce e ad essa abbracciato. Naturalmente non aveva ancora letto il trattato sull’umiltà di padre Rodriguez! Perché, rientrati in seminario, lo sentii parlare ai compagni di detta ascensione, come pure di essere andato a sciare sulla neve caduta in abbondanza il 4 ottobre. Si rientrava in seminario a metà ottobre.MissionarioI superiori ci parlavano molto delle missioni, per cui s’era sviluppato tra i seminaristi un vero entusiasmo. Ogni anno, uno o due partivano per entrare nelle Missioni Estere di Milano, presso i Sa: veriani di Parma o i Gesuiti ed, in particolare, presso i Comboniani da quando avevano aperto la Casa di Venegono. Nel ‘25 vi entrai anch’io. E, prima che terminassero le vacanze estive del ‘26, mi raggiunse anche Egidio. Dovetti fargli da angelo custode (così si chiama il novizio anziano che insegna al postulante gli usi del No: viziato). Me lo ricordò più volte: quando gli frenavo i bollenti spiriti che lo spingevano a far su due gradini per volta, ciò che era vietato dagli avvisi e dalle regole. Ridicolo? No. (In una clinica del la Svizzera, certi pazienti sono obbligati a fare passi, per esempio, di venti centimetri e non di più).Prefetto nel Seminario di Troia (Puglia)Nel 1928 io ci stavo da un anno con il servo di Dio, padre Sartori. Già avevamo una trentina di aspiranti. Altri sarebbero arrivati presto. Feci presente al padre che era necessario un altro prefetto e feci il nome del neoprof esso, fratel Egidio Nani. Ce lo mandarono. Così passammo quasi tre anni in buona compagnia, fino all’autunno del ‘31, quando fratel Nani rientrò a Verona per terminare la teologia ed io fui inviato a Roma.Praticamente con ci trovammo più insieme, se non saltuariamente.
In missione
"Temporibus Illis", appena ordinati sacerdoti si era... santamente impazienti di partire per le missioni. Padre Nani (calmi i bollenti spiriti!) andò a insegnare alcuni anni nei nostri seminari, poi alcuni anni nel Collegio Comboni di Khartoum, poi, sì, nella vera missione del Sud Sudan.
Firenze 1955
Era di ritorno dal Sudan; però in che stato! Veniva accompagnato, perché solo non sarebbe arrivato. Era in preda a un forte esaurimento. Era rimasto scioccato per non aver potuto evitare una carneficina di indigeni di differenti tribù: molti erano suoi cristiani.
Passando da Roma gli avevano parlato del compaesano che stava a Firenze. Lo trattenemmo alcuni giorni fino a quando egli stesso chiese di continuare il viaggio. Lo condussi a Verona.
In padre Nani io ho ammirato la fedeltà ai principi di fede, alle sane tradizioni, alla Congregazione e all’amicizia. Ho visto in lui un uomo di carità.P. Giovanni Giordani

DON GIULIO RONCAN
RIPOSA NELLA PACE DEL SUO SIGNORE

Dopo lunga malattia, il 23 giugno ci ha lasciati per il Paradiso don Giulio Roncan, che per 31 anni è stato prevosto di Chiesa in Valmalenco.Con lui muore un sacerdote stimato non solo nella sua parocchia, ma in tutta in tutta la Diocesi.
I Sacerdoti della Valmalenco lo ricordano con affetto ed amicizia.La corsa alle poltrone ecclesiastiche non lo interessava più da tempo, la sua parrocchia di Chiesa in Valmalenco era ormai la sua casa di elezione. Diceva spesso di voler passare qui i suoi ultimi giorni. Ed è stato esaudito.
Fu un buon parroco, un pastore attento e pieno di zelo, un collaboratore affidabile, un amico sincero. Lascia di sé un ricordo amabile, che non si spegnerà facilmente nella nostra Valle.
Il santuario della Madonna degli alpini era per lui, non solo la chiesa parrocchiale, ma la sua vera casa. Abbellita con amore, l’aveva, come ultimo lavoro, dotata di un campanile. Che cos’è una chiesa parrocchiale senza il campanile? Soffriva don Giulio, quando si accennava a quelli che svettavano in Valle. E, raggiunto lo scopo, finalmente ha potuto additare il complesso parrocchiale come uno dei più belli e moderni. La considerava la sua tesi di laurea.Il legame che pian piano si costruisce tra il parroco e i suoi parrocchiani è profondo, vitale, non facilmente descrivibile, perché interessa la vita vera di una persona, di una famiglia, di una comunità. Si condividono con il parroco le gioie, i dolori, le ansie, i successi, gli insuccessi della vita, perché lo si accosta come amico, come fratello, come uno che è capace, in quel momento, di capire il tuo dramma o la tua gioia; sa vibrare con te, non per convenienza, ma perché veramente condivide la tua situazione. E, questo, a Livigno, come a Bianzone, come a Chiesa.
Parlava spesso di Livigno. Descriveva, con sensibilità e arguzia, le situazioni che l’avevano coinvolto. Una in particolare. Il suo ministero era iniziato in un momento difficile, come capita spesso nelle parrocchie. Gruppi contrapposti rendevano precaria la sua opera di pacificazione. Era vicario parrocchiale e contemporaneamente responsabile di una chiesa sussidiaria, gestita però come chiesa parrocchiale. I giovani, così raccontava, si erano divisi in due fazioni per fatti precedenti. E lui doveva seguire gli uni e gli altri come "suoi giovani". Una sera, mentre si intratteneva con il gruppo della frazione, giunsero all’improvviso i giovani del centro. Non poteva evidentemente accoglierli nella stessa stanza, così li fece accomodare in un altro locale. Quella sera passò da un gruppo all’altro per spiegare le ragioni di una pace a cui nessuno credeva. Alla fine riuscì a fondere i due gruppi con soddisfazione sua e di tutta la comunità. Forse queste cose passano inosservate per i superficiali, ma per un parroco sono la vita. Perché non sono scritte sui libri, ma in-tessute nella vita di una comunità.Noi sacerdoti della Valle lo ricordiamo con particolare affetto, non per solidarietà di categoria, come si dice, ma perché accettava con entusiasmo e con vivacità di lavorare insieme, senza quelle stupide contrapposizioni che a volte compromettono il nostro lavoro e la nostra testimonianza. Proponeva o accettava le proposte, collaborava nel realizzarle, godeva per i risultati raggiunti. Era generoso, soprattutto quando si sentiva coinvolto direttamente. Un anno ci siamo accordati per effettuare una gita insieme con tutti i ragazzi della Valle. Proposte per la meta ne sono uscite parecchie, più o meno gradite. Qualcuno ha suggerito di visitare l’Isola di 5. Giulio. Gli si illuminarono gli occhi e si affezionò così tanto a questa meta che, per non vederla sfumare, era disposto a pagare lui il viaggio, purché si realizzasse.Accettò con entusiasmo la carica di Vicario Foraneo. Lavorò con impegno per unire la Valle e dare un assetto di collaborazione più efficace tra le parrocchie. Negli incontri di zona, con i sacerdoti, ha sempre sostenuto le sue convinzioni con vigore e passione, ma non ha mai umiliato un confratello. Passò il testimone quando si accorse che le fatiche profuse non davano il risultato sperato, e si dedicò alla parrocchia e alla Valle.
Così insieme, abbiamo dato vita ad alcune iniziative pastorali per l’estate, che durano tuttora: la festa dell’accoglienza, la festa della vita e dell’automobilista, i grest parrocchiali con alcune iniziative comuni, il torneo degli oratori.Memorabile fu il pellegrinaggio che per alcuni anni abbiamo realizzato al santuario della Madonna di Primolo, con la partecipazione di tutte le parrocchie della Valle. Una gioia immensa illuminava il suo volto, quando, per la prima volta, una domenica pomeriggio di fine maggio, un numero imponente di persone provenienti da tutte le parrocchie sono salite a piedi sulla strada che porta al santuario, recitando il rosario e cantando. Una processione in grande stile, una processione di Valle. Don Giulio non si dava pace, voleva che tutto fosse perfetto. Era l’omaggio alla "sua Madonna". Poi si concentrava su una meditazione particolarmente sofferta dei misteri. Dopo la 5. Messa concelebrata dai sacerdoti della Valle, ha offerto un rinfresco a tutti gli intervenuti. Era raggiante.La sua passione per la Valle gli faceva, a volte, sminuire i difetti che la caratterizzavano. Spesso, tornando dal ministero svolto altrove, diceva con una punta di orgoglio che qui, nelle nostre parrocchie, siamo fortunati, perché la frequenza è ancora buona, ci si confessa, e il prete è accostato con rispetto.
Oratore brillante, non si è limitato al ministero nella sua parrocchia. Il suo entusiasmo l’ha portato a tentare anche la predicazione straordinaria. Per ben due volte, con il carissimo don Ugo Pedrini, ora monsignore, ha predicato le Sante Missioni a Grosotto e a Cedrasco. Fu un successo in tutte e due le esperienze.Il banco di prova della nostra capacità di collaborazione furono le Sante Missioni al popolo, che abbiamo realizzato contemporaneamente in tutte le parrocchie della Valmalenco. Don Giulio è stato un compagno di viaggio eccellente. Proponeva, ma ascoltava anche; attuava lui nella sua parrocchia iniziative gradevoli, ma godeva delle cose belle che nelle altre parrocchie venivano realizzate. Ci si copiava a vicenda, senza invidia o gelosia, e ci si incoraggiava perché tutto riuscisse per il meglio. Fu una esperienza stupenda, e don Giulio, a volte, la ricordava come una grande opera pastorale.
Il suo amore ai pellegrinaggi era conosciuto anche altrove, e non poteva mancare una esperienza di Valle in questo campo. Così, insieme ci siano accordati per Lourdes. Fu un viaggio fraterno. E insieme godevamo nel vedere i parrocchiani delle diverse comunità fraternizzare durante il viaggio, davanti alla grotta, nei tempi liberi, nel ritorno. È la gioia del pastore che educa a far comunità creando occasioni di comunione. Perché la comunione vera non c’è quando la si predica, ma quando la si vive.Don Giulio era approdato in Valtellina dal Veneto, al seguito di suo padre impegnato in lavori in Alta Valle.
Aveva trovato nel compianto don Della Vedova il suo punto di riferimento. Sacerdote ardente e zelante spentosi a Cadorago alcuni anni fa, per don Giulio fu un amico, un padre, e, nel tempo, il suo consigliere. Lo ospitò nella sua casa e l’aiutò a colmare alcune lacune in vista di una scuola esigente. Lo incoraggiò nella faticosa preparazione al sacerdozio. Gli fu vicino fino all’altare.L’amore di un sacerdote così zelante, ha preparato il futuro parroco ad accogliere e ad amare i suoi parrocchiani "toto corde" con generosità, e ad aiutare i confratelli scoraggiati per le umiliazioni subite.Questo insegnamento, don Giulio lo ricordava spesso quando parlava della sua vita.
Lo ricordano con simpatia tutte le comunità della Valle, perché fu zelante nell’aiutare i confratelli nella predicazione e nel ministero della confessione. La nostra gente non è di molte parole e, nel valutare le persone, va al sodo: ho sentito più di una persona dire "Don Giulio! Un bravo prete". Un elogio impareggiabile.Così sinceramente lo possiamo salutare: "Caro don Giulio, riposa in pace, benedetto da tutta la gente della Valle".

DON FLAMINIO
NELLA LITURGIA DEL CIELO

Il 20 settembre scorso è spirato santamente don Flaminio, già parroco di Torre.Tutti lo ricordiamo per la sua bontà e mitezza, per la sua generosità e disponibilità, per la sua cordialità e semplicità.Il funerale si è svolto a Cas poggio alla presenza del Vescovo, di numerosi sacerdoti e di una folla immensa di fedeli.La salma è stata poi portata a Torre di 5. Maria, dove è stata sepolta in quel cimitero in cui riposano persone da lui conosciute e amate.
Facciamo memoria di lui in questo opuscolo con senso di riconoscenza per tutto il bene che ha compiuto, seguendo quanto la Lettera agli Ebrei ci raccomanda: "Ricordatevi dei vostri pastori che vi hanno annunziato la Rarola di Dio. Considerando l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede".Don Flaminio Negrini nasce a Caspoggio il 29 aprile del 1945, all’indomani della conclusione della Seconda guerra mondiale, da Dario e Santina. La sua era una famiglia numerosa: sette tra fratelli e sorelle. Quando don Flaminio parlava di Caspoggio di allora, lo ricordava sempre come un paese povero, ma abitato da gente lavoratrice e onesta, con una fede solida e radicata. Entrò nel Seminario di 5. Abbondio a Como dove frequentò le Medie, il Ginnasio e il Liceo. Sono anni duri per le ristrettezze che la guerra, appena terminata, e il ri-lancio economico, appena abbozzato, ancora impongono. Di queste ristrettezze dirà di non averle sofferte più di tanto, consapevole che gli altri ragazzi, a Caspoggio, stavano peggio di lui. Passa poi al Seminario Maggiore di viale Battisti per frequentare la Teologia. Durante la sua formazione al sacerdozio collabora con l’Istituto 5. Chiara a Muggiò per il catechismo settimanale agli alunni, e con la parrocchia di Parè. Viene ordinato sacerdote il 22 giugno 1969, nel duomo di Como, dal vescovo mons. Felice Bonomini. Prima destinazione del novello sacerdote sarà la parrocchia di Abbadia Lariana come vicario. Nel 1971 è trasferito a Ponte in Valtellina dove svolge, oltre all’ufficio di vicario, anche quello di parroco di Arigna. Nel 1982 viene destinato dal vescovo Ferraroni quale parroco di Torre. Entra in parrocchia il 9 maggio.In un paese il parroco è dispensatore della grazia di Dio per il popolo a lui affidato. Quanto don Flaminio ha fatto come ministro della Parola e dei Sacramenti, stando vicino ad ogni persona e con dividendo gioie e dolori, viene lasciato al ricordo di ognuno, cosicché tanti piccoli tasselli compongono quel mosaico invisibile di grazie che ora don Flaminio contempla presso il Padre e che anche a chi resta sarà svelato quando ci verrà preparata un’abitazione eterna nel cielo.Don Flaminio si prodigò per il decoro delle numerose chiese della parrocchia, il restauro della parrocchiale e la costruzione della chiesa di san Francesco a Tornadù. Sarà ricordato per essere stato vicino ad ognuno degli abitanti di Torre nei tragici eventi dell’alluvione del 1987. Così scriveva il "Corriere della Valtellina" il 21 novembre 1987: "Nella canonica, una vecchia casa affianco della chiesa, troviamo il parroco. Era assente in quei drammatici giorni di luglio. Avuta notizia delle nostre calamità è partito immediatamente. Un viaggio avventuroso: l’ultimo tratto, da Sondrio a Torre, in moto con un parrocchiano incontrato per caso in città. "Ho trovato il paese completamente deserto — raccontava —. Ho avuto un senso di sgomento, di smarrimento". Ma poco dopo ha potuto incontrare i suoi parrocchiani sfollati a 5. Giuseppe, nella casa degli Artigianelli. Ha anche messo a disposizione la canonica dove molte persone hanno alloggiato per un giorno e una notte".Nel luglio del 1994, in occasione del suo venticinquesimo di sacerdozio, don Flaminio nell’omelia diceva: "Oggi, da qui, da Torre, scruto il mio essere costituito per sempre, e senza alcun mio merito, ministro di Cristo per l’annuncio della Parola, per la celebrazione dei divini misteri e per la testimonianza della carità... Siamo chiamati a vivere il progetto di Dio sulla nostra vita. Il progetto di Dio è continuare su quella strada di fede tracciata da chi ci ha preceduto e che ha costruito una chiesa e, attorno alla chiesa, una comunità. È bello essere comunità. È bello essere Chiesa. Siamo chiamati a vivere questo progetto in semplicità di cuoreSu richiesta di mons. Vescovo, il 30 maggio 1999 saluta la parrocchia e continua ad esercitare il suo ministero come cappellano dell’Ospedale Morelli di Sondalo. Dopo due anni di servizio presso gli ammalati dell’ospedale, costretto a letto da un tumore all’intestino, dopo mesi di malattia, nella notte tra il 19 e il 20 settembre, rende l’anima al suo Signore. Le sue spoglie riposano a Torre di Santa Maria.Sacerdote per sempre, possa celebrare l’eterna liturgia del cielo insieme agli angeli e ai santi.


GRAZIE, UBOLDI, 
GENEROSO "FACTOTUM" DI LANZADA!

Che si chiamasse Luigi lo si è scoperto solo quando è scomparso perché per tutti era semplicemente "l’Uboldi": così infatti lo chiamavano a Lanzada.Originario di Saronno, in provincia di Varese, l’Uboldi era arrivato qui verso la metà degli anni ‘50 al seguito di una nota società, la Vizzola, che tra dighe, centrali e condotte forzate aveva predisposto una serie di progetti per lo sfruttamento delle acque della valle a scopo idroelettrico.A Lanzada aveva messo radici e famiglia, integrandosi con la comunità locale e tentando perfino (...cosa praticamente impossibile) di impararne il dialetto. Non aveva certamente problemi ad instaurare relazioni perché l’Uboldi era naturalmente portato ad essere amico di tutti, ad offrire spontaneamente la propria collaborazione laddove ci fosse bisogno.Come ha detto il parroco don Renato durante la Messa funebre, tutti i presenti, che la chiesa non poteva contenere, avevano un debito di riconoscenza nei confronti di un uomo che ha dedicato tutto il suo tempo libero agli altri, nella parrocchia, nelle associazioni sportive e di volontariato. Egli era l’espressione della disponibilità a tutto e della generosità verso tutti.A Lanzada, l’Uboldi era presente ovunque e comunque: nelle società sportive, nel coro della chiesa e nel coro CAI Valmalenco che aveva fondato e costruito con il suo amico don Silvio Bradanini, nelle feste e nelle sagre, nell’ AVIS, nell’Associazione Alpini, con i bambini dell’asilo, i ragazzi delle società sportive e gli adulti del bar che frequentava. Quando c’era bisogno di qualcuno per preparare un palco o una luminaria, trasportare un gruppo di ragazzi per una gara di pattinaggio, organizzare una corsa di biciclette, curare la processione del Corpus Domini, l’Uboldi era presente per mettere a disposizione il suo tempo, la sua competenza, senza chiedere mai compenso alcuno, ma mettendoci spesso anche qualcosa di tasca propria. Tirar fili, mettere luci e piazzare microfoni era il suo mestiere e quindi non vi era manifestazione sacra o profana, promossa dal comune o dalla parrocchia, che potesse fare a meno della sua preziosa collaborazione. Quando, di fronte ad una richiesta di intervento, diceva: preòcupes no !", significava che il problema lo avrebbe risolto di sua. Non era tipo da passare inosservato perché le sue ragioni le faceva sentire e, in caso di necessità, sapeva anche alzare la voce. La sua disponibilità nei confronti dei bisogni della comunità era poi aumentata nel corso degli anni dopo essersi ritirato definitivamente dal lavoro svolto presso la centrale dell’Enel.La sua attenzione, gioiosa e rumorosa, negli ultimi anni si era concentrata soprattutto sui bambini dell’asilo parrocchiale: guidava il pulmino che raccoglieva gli alunni nelle varie frazioni e provvedeva a tante incombenze per il funzionamento della struttura. Già debilitato nel fisico e con negli occhi la sofferenza ha cercato fino all’ultimo di assolvere ai suoi impegni quotidiani con i bambini.Con la sua scomparsa Lanzada perde un uomo buono e generoso. Grazie, Uboldi! Infatti al suo funerale lo hanno voluto ringraziare tutti: i bambini, i giovani, gli adulti con cui egli ha operato sempre con grande disponibilità senza mai dire di no a nessuno. Durante la cerimonia funebre, accompagnata dalle melodie a lui più care, dall’Ave Maria al Signore delle cime, cantate dal coro CAI Valmalenco, tutti erano consapevoli di aver perso un grande amico.Ora egli si troverà certamente a litigare con 5. Pietro sul sistema migliore per illuminare il Cielo perché anche Lassù ci sarà bisogno di qualcuno che sappia tirare fili, piazzare amplificatori e che, nei giorni di festa, dia voce robusta al coro degli angeli diretto da un maestro rivestito di una tunica bianca che, a ben guardare, somiglia proprio a don Silvio.

IN RICORDO DI MAMMA FAUSTA

Lu nedì 30 luglio 2001 si è spenta a Lanzada la carissima Fausta Vanotti, mamma del parroco don Renato Lanzetti.
Nata a Torre di Santa Maria il giorno dell’Annunciazione del 1916 da umile e povera famiglia, ha egregiamente vissuto e portato a compimento la sua vocazione di sposa e di madre.Ha generato 12 figli, di cui 11 viventi. Li ha allevati e educati con affetto, tre pidazione, speranza e fedeltà. Ha gioito per l’arrivo di numerosissimi nipoti e pronipoti. Non ha risparmiato sacrifici né fatiche. È stata esemplare nella fede, nella preghiera e nell’amore concreto.Ha seguito e servito il figlio sacerdote, prima a Livigno, poi a Lanzada, con la consapevolezza di essere stata chiamata ad una vera missione dal Signore. I fedeli di Livigno e di Lanzada le hanno voluto bene, considerandola una di loro.
Ha frequentato volentieri gli incontri delle "Familiari del clero" da cui ricavava incoraggiamento e sostegno per vivere la sua missione di servizio al sacerdote; dei ritiri parlava con entusiasmo alle persone amiche al punto che riuscì a condurre anche loro.
Il 24 giugno ha avuto la gioia di partecipare alla festa del 25° di sacerdozio di don Renato assieme alla schiera numerosa di familiari, parenti e fedeli.
Un mese dopo, il Signore in cui ha creduto e sperato e la Madonna che ha sempre invocato con fiducia l’hanno chiamata in Paradiso ove attende tutti i suoi cari, mentre continua ad amarli con cuore di mamma.Alcune donne hanno voluto che fosse ricordata in questo bollettino.

Mamma Fausta è arrivata a Lanzada nel 1989 con l’entrata di don Renato dopo aver lasciato Livigno: paese che stimava e dove era amata da tutti.L’amore per la propria comunità parrocchiale l’ha manifestato anche qui a Lanzada dove aveva preso un affetto familiare per le persone che andavano spesso a trovarla.A Lanzada, mamma Fausta si sentiva nella sua valle.
Ricordo, quando ci si incontrava all’inizio del paese, le parole che pronunciava con un senso di gratitudine e tranquillità: "Qui si vede la Madonna di Primolo, vedo le mie montagne..., lì ghe la me ca!".Mi nominava e raccontava dei suoi undici figli cresciuti e educati con sacrificio, tanta buona volontà e gioia, affermando: "Quant lauràa.. .Mamma Fausta svolgeva una grande missione: badare alla casa parrocchiale; lo faceva con cura e precisione ed era orgogliosa di essere accanto al suo don Renato.
Amava i fiori e di tanto in tanto diceva che bisognava spostarli perché i migliori dovevano stare davanti e dare risalto all’entrata della casa.Un’altra passione che aveva era per l’orto al quale dedicava tanto tempo e lavoro, aiutata naturalmente dai propri figli nei lavori pesanti. Quanta gioia si vedeva in lei quando raccoglieva le verdure per l’inverno.La sua giornata era tutta programmata perché nulla doveva essere trascurato, anche se riteneva importante fare le passeggiate quotidiane le cui mete erano le Madonnine messe in due posti diversi del paese e diceva: "Un po’ d’aria fa bene, ma mi ades gu da andàa a ca: gu gent che me specia!".Nonostante la sua tenacia, in questo ultimo anno, mamma Fausta è stata affiancata dalle figlie che la seguivano ogni giorno.
1l 28 luglio abbiamo fatto la nostra ultima passeggiata nella strada di via S. Giovanni: "Che bella strada!" ha esclamato, aggiungendo: "Questa va bene per noi perché non c’è traffico e si può stare tranquille, el sarà el nos giret de tuc i di!".Ma il 30 luglio Dio l’ha chiamata per il riposo eterno.Chi avrebbe pensato una cosa così repentina?
Quanta fede, quanta felicità e quanta semplicità c’era nel cuo re di questa mamma che ricorderemo sempre come aiuto per continuare nel nostro cammino di vita accanto al suo don Renato.
Edvige e Elsa

In silenzio, in fretta, quasi per non disturbare: così, mamma Fausta ci ha lasciati il 30 luglio, per andare all’incontro con il Padre nel quale, nei suoi 85 anni, ha sempre creduto, amato e sperato.Fausta è stata l’esempio di una mamma dolce e forte, testimoniato dall’affetto ai numerosi figli che venivano sempre a trovarla e a don Renato in particolare, con cui ha condiviso per 25 anni le gioie e la fatica del suo ministero sacerdotale.Per noi parrocchiani mamma Fausta rappresentava la custode vigile della casa del Parroco.
Quante volte, incontrandomi, mi diceva: "Prega per don Renato e per me".
Ora, cara Fausta, sono io che ti chiedo di pregare per tutta la nostra comunità, perché segua con docilità tuo figlio che ci hai lasciato come pastore e guida della nostra comunità.
La tua fede profonda ci sia sempre d’eseminpio e la grazia del Signore ci conceda di di incontrarci tutti nella Sua Casa per lodarlo in eterno.

SUOR BENEDETTA
SI È ADDORMENTATA NEL SIGNORE

Si è spenta il 9 novembre nel convento di 5. Lorenzo suor Benedetta Passamonti, suora della Santa Croce.
Era nata a Bema il 19 marzo 1900, prima di otto fratelli.
Diciannovenne, ottenne dai genitori il permesso di recarsi a lavorare in uno stabilimento in Svizzera dove conobbe, nel convitto di Gebensdorf, le suore della Santa Croce che accoglievano e davano alloggio a molte ragazze giunte là per lavorare. In quel periodo comprese che la sua esistenza doveva essere consacrata al Signore.
Con il consenso della famiglia entrò a 5. Lorenzo e il 31 agosto 1926 fece la sua professione religiosa.
Alcuni anni più tardi, la seguì anche una sorella, suor Rosa.
Sempre nel 1926 ottenne il diploma di maestra d’asilo e per cmquant’anni svolse con amore e dedizione la sua missione fra i bambini delle diverse scuole materne dellaBassa Valtellina e della Valmalenco. I registri delle presenze dell’asilo di Lanzada Centro portano la sua firma nei primi anni ‘60.Ricca di fede, esemplare nella vita di preghiera, di semplicità, di povertà e di accettazione della volontà di Dio, visse con gioia la sua consacrazione al Signore, sempre riconoscente sia a Dio, datore di ogni dono, sia a coloro che le volevano bene.
Il funerale è stato celebrato il 12 novembre nella chiesa di 5. Lorenzo. La salma è stata poi portata nel vicino cimitero di Mossini per essere sepolta accanto a numerose consorelle, in attesa della risurrezione finale.
Certamente in Paradiso suor Benedetta continuerà a pregare - e con più efficacia - per le migliaia di bambini che ha educato lungo i cinquant’anni di lavoro negli asili e che ora hanno la responsabilità di essere padri, madri, nonni, operai e professionisti: un nuovo angelo custode da invocare!

NATALINA GIANOLI
MAESTRA E CATECHISTA

Natalina ha appena steso sul tavolo la tovaglia bianca da lei ricamata tanti anni fa con i simboli dell’Eucaristia, ha posto due candele e un’immagine sacra. Attende il ministro straordinario della S. Comunione che le porti il Pane che dà forza e consolazione, È la sera della vigilia dell’Immacolata, quando la Chiesa celebra i primi Vespri di questa Solennità. Ma il Signore bussa alla porta del suo cuore in un modo inaspettato, secondo un programma imprevisto: un’improvvisa e forte emorragia è il segno evidente che la chiama con sé per sempre. Subito ella fa venire il sacerdote per l’assoluzione e l’Estrema Unzione: durante il rito liturgico, Natalina, pienamente cosciente, circondata dai familiari addolorati e preoccupati, prega affidandosi alla bontà di Dio. Viene poi trasportata in ospedale, dove spira vegliata da un suo carissimo ex-scolaro, il dott. Agostino Avolio.Al funerale partecipa molta gente. Sono presenti tutti i fanciulli della scuola elementare. Il sacerdote legge il Vangelo di Matteo: "Voi siete il sale della terra...; voi siete la luce del mondo. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro celeste".
Nell’omelia al parroco viene spontaneo il collegamento fra il Vangelo e la vita di Natalina. Ella è stata maestra e catechista. Per molti anni ha speso le sue energie per l’insegnamento e l’educazione dei ragazzi, con passione, serietà ed amore. Ha vissuto la sua fede non semplicemente come un fatto privato e intimistico, ma come una realtà che l’ha portata ad aprirsi alla comunità. E stata sale che dà sapore: il sapore della carità, della testimonianza, della sapienza che viene dal Vangelo. E stata luce che illumina con la parola e con l’esempio, luce che risplende e aiuta anche gli altri a guardare nella direzione giusta, verso Dio.Per tanti anni ha svolto la sua professione di maestra trovando l’equilibrio tra la severità e l’amorevolezza. Ricordava volentieri i suoi scolari; godeva quando li incontrava e la salutavano cordialmente oppure quando veniva a sapere che un suo ex scolaro aveva raggiunto una buona posizione nella società. Un papà, suo ex alunno, mi confidava che mentre egli si trovava in una casa di cura per diversi mesi, la sua maestra era l’unica persona, dopo la mamma, che le inviava delle lettere di solidarietà e incoraggiamento.Natalina, quando parlava della sua esperienza a scuola, metteva in risalto l’accordo e la collaborazione fra gli insegnanti e la fedeltà alla Messa di inizio anno scolastico come punti fermi per una buona impostazione del lavoro.Le sue doti e l’esperienza di maestra le aveva opportunamente utilizzate anche per insegnare ai ragazzi il Vangelo durante gli incontri di catechesi.Negli ultimi anni, non faceva più la catechista, ma si era ugualmente messa a disposizione con altre persone per animare i Centri di ascolto.
Da alcuni mesi una grave malattia l’aveva costretta pian piano a restare in casa dove, pur nella sofferenza, godeva la serenità e la concordia familiare e trovava grande conforto nella presenza dei nipoti e pronipoti.Famiglia, scuola, parrocchia: tre ambiti in cui ha operato, tre valori in cui ha creduto, tre realtà di estrema importanza per esprimere la propria fede, per educare le nuove generazioni e per costruire il Regno di Dio.
Natalina, grazie! Tanti ragazzi hanno potuto avvicinarsi di più a Dio e rendergli gloria perché tu sei stata sale che dà sapore e luce che risplende.

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